La societa’ nella quale viviamo e’ molto articolata e pesantemente concorrenziale. E soprattutto l’immagine che dobbiamo dare all’esterno e’ quello di essere perfetti e di non commetere mai alcun errore. Questa situazione ci porta a rischiare sempre molto poco e a limitarci all’intorno di cio’ che conosciamo (e’ molto facile prevedere cio’ che accade dentro una scatola). Questo perche’ sappiamo muoverci negli ambiti a noi noti.
Ma appena ci si discosta dal nostro orticello, diventiamo goffi ed insicuri. E quindi, paradossalmente, preferiamo non avventurarci alla scoperta di qualcosa di nuovo, anche se questo ci fornirebbe delle nuove opportunita’. Un po’ perche’ ci vergogneremmo con gli altri e con noi stessi fare qualcosa di differente. Un po’ perche’ e’ faticoso e richiede impegno. Un po’ perche’, tutto sommato, chi ce lo fa fare? Ultimo ma non meno importante: si e’ sempre fatto cosi’, perche’ devo andarmi a scontrare con quella roba li’? Conseguenza di tutto cio’: ci auto limitiamo, tagliando i notri rami di esperienza che potremmo far crescere ma preferiamo non farli mai sbocciare.
Mentre cercare un ambiente, che sia un gruppo di ricerca personale, un dojo, un seminario esperienziale o un caro amico che ne sa piu’ di noi ci da’ l’opportunita’ di provare, sperimentare, sbagliare e sbattere la testa in un ambiente costruttivo e protetto (concetto che ho realizzato grazie alla guida di una persona durante una serata esperienziale). Come farsi i muscoli in una palestra od analizzare il mondo con una piccola lente di ingrandimento. Ed una volta iniziato, secondo me, non vuoi piu’ tornare indietro, ma scopri che oltre a cio’ che conosci c’e’ molto, ma davvero molto di piu’. C’e’ anche una realta’ sommersa che non fa rumore, non cerca il clamore, non ambisce alla popolarita’. Ma semplicemente esplora. E qualsiasi insegnante, istruttore, guida, aiutante e persona che debba guidare od istruire in un modo o nell’altro altre persone lo si dovrebbe valutare anche in base a quanto permette ai suoi allievi di sperimentare e sbagliare (ovviamente senza mandarli allo sbaraglio, ma indicando loro la via da seguire).
E cosi’ sto imparanado poco alla volta a risconoscere ed apprezzare le infinite opportunita’ che la vita ci offre per tastare la realta’, un po’ come un neonato fa con gli oggetti che lo circondano. E poi chissenefrega se qualche errore ci scappa: “certe volte capita”(cit: Fai come ti pare, 883 )
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